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Mal d'Africa

Che cos’è il Mal d’Africa?  


Cos'è il mal d'Africa? È contagioso, si può trasmettere come un raffreddore? No, purtroppo no! Come si fa a trasmettere ad altre persone una grande emozione quale è l'Africa? Non si può! Il mal d'Africa si contagia solo laggiù, solo dove puoi sentirne l'odore, puoi assaporarne la natura, puoi capirne i problemi e dove il richiamo è forte, come un buco nero, verso il quale chi si avvicina troppo ne viene risucchiato. 
Definizione: si tratta di una patologia assolutamente popolare, trasversale nella sua diffusione.
Non conosce limiti di età, di provenienza geografica (possono soffrire di Mal d’Africa anche gli africani), di ceto sociale o di categoria professionale (ne soffrono gli scrittori, i giornalisti, i turisti,  i missionari, gli antropologi, i naturalisti e gli psicologi...
La particolarità della malattia risiede nel fatto che, seppure presenti una diffusione assolutamente trasversale, si manifesta sotto diverse forme.

C’è chi dice che il Mal d’Africa scoppi in occasione di un viaggio nell’Africa Nera e c’è chi dichiara di essere stato colpito durante i suoi viaggi sahariani, tra quel vuoto denso di contenuti, e c’è anche chi teorizza che il contagio si manifesta quando, rientrando da un viaggio in Africa, si avverte un disagio psico-emotivo, un senso di inadeguatezza nel riprendere il proprio stile di vita.
Ed ecco che accanto ad un profondo malessere subentra la nostalgia di quei giorni passati in Africa, di quell’Eden ritrovato fatto di incontri, suggestioni di immagini ed emozioni.

C’è chi dice che si esprime sotto forma di una profonda nostalgia per una civiltà perduta, per un passato primitivo in cui si esalta il valore della tradizione e c’è chi identificando l’Africa come spazio selvaggio per eccellenza, come negazione di civiltà, come una sfida personale al pericolo, all’ignoto ci ripropone una sorta di nuove eroe del viaggio avventura che tanto ci ricorda i coraggiosi esploratori ottocenteschi.

Ma c’è anche chi dice che il Mal d’Africa non esiste, liquidandolo come un retaggio romantico le cui origini devono attribuirsi a una letteratura inglese di stampo coloniale.
 
Il fascino e il mistero del Mal d’Africa risiedono proprio nella sua difficile classificazione.
Concetto letterario, malattia dell’animo, pugno nello stomaco, stupore, attrazione per un luogo che sembra ci appartenga.

Tra le teorie che hanno cercato di ricondurlo a origini scientifiche due mi sembrano particolarmente interessanti.

Anche perché entrambe sottolineano un aspetto abbastanza comune della malattia.
Ecco che quando mettiamo piede in Africa ci sentiamo inspiegabilmente a casa. L’Africa sembra appartenerci, da sempre. Una sensazione, un istinto, una visione? La prima teoria è di carattere antropologico, la seconda muove i passi tra i meandri della psicoanalisi.
 

Una memoria delle nostre origini (l’Umanità non mosse i primi passi nella savana africana?) che sopravvive nei nostri geni, frasi scritte indelebilmente nel nostro DNA. È come se i nostri cromosomi ci ricordassero: “un tempo vivevo in una terra africana”.
In fondo, i primi essere umani non hanno lasciato monumenti, ma hanno lasciato la loro memoria in ognuno di noi.
È dunque naturale amare il paesaggio della savana, visto che è lì che si è compiuta la nostra evoluzione.
Ed è per questo che riconoscendo il luogo da cui proveniamo, in Africa ci sentiamo a casa.
La teoria psicoanalitica va invece a rintracciare il nostro passato africano nell’inconscio, nella parte della mente che risiede al di sotto dell’attenzione cosciente. A contatto con l’Africa si risveglia una memoria profonda che funge da induttore per tutti quei contenuti, per lo più emotivi, che risiedono nel nostro inconscio.
 
L’Africa ci fa sognare: attività psichica che da noi, così recitano certe statistiche, è sempre più desueta.

Nell’immagine non c’è più magia (non a caso Alberto Moravia nel libro “A quale tribù appartieni” scrive che due sono le facce del Mal d’Africa: la magia e l’attrazione/paura per la preistoria). L’immaginario non è forse il luogo dell’anima?
Quando siamo in Africa il nostro potere evocativo, la nostra immaginazione è tutt’uno con l’immagine. E allora gli occhi di un africano parlano, le parole ci guardano, il nostro sguardo pensa. Forse è questa la particolarità dell’Africa; là le immagini mantengono un perfetto equilibrio tra il fuori e il dentro. Tutto ciò che vedi ti entra dentro e non viene portato via dall’immagine successiva, creando una sensazione di profondo arricchimento. Le immagini d’Africa ci portano alle cose, evocano emozioni e pensieri, raggiungono la loro anima, ci fanno produrre immaginario. Le immagini d' Africa sono animiste.

Testo scritto da Michela Manservisi
Animista neoplatonica dal 1964, abbandona l’ambiente giornalistico milanese specializzato nel settore moda per seguire la sua passione africana. Dal 1995 al 2000 fonda e dirige a Ferrara la rivista bimestrale Africa, dedicata all’esplorazione culturale del Continente. Nel 2000 e nel 2002 è l’ideatrice e curatrice a Milano di Made in Africa Fotografia, biennale di fotografia africana contemporanea. Nel 2003 scrive per Castelvecchi Editore African Style, un ritratto del continente africano attraverso la moda e i linguaggi dell’abito tradizionale. Dal 2001 promuove e realizza attraverso l’Associazione Culturale Afritudine  progetti di cooperazione culturale in particolare con il Mali. Vive a Ferrara.

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Sama Africa

Ricordo lo sguardo di un dolce bambino colori esaltanti del mare al mattino deserto e baobab tra dune e sentieri dinnanzi ai tubab di oggi e di ieri e per chi in fondo al cuore ha delle questioni è questo il paese delle soluzioni amore e sorrisi ci hanno ammaliati movenze e tam tam ci han divertiti un GRAZIE di cuore ai tanti africani che verso di noi han teso le mani...